Ha ancora un senso l’ecumenismo in Europa? – Editoriale, di Luca Maria Negro

Scritto da Fcei il . Postato in Notizie Evangeliche

Fra le tre Assemblee ecumeniche europee promosse dalla Conferenza delle chiese europee (KEK, che riunisce protestanti, anglicani e ortodossi) e dal Consiglio delle conferenze episcopali (cattoliche) d’Europa (CCEE), l’ultima - svoltasi a Sibiu, in Romania, dal 4 al 9 settembre 2007 - è stata senza dubbio la più difficile. Una complessa organizzazione in tre tappe (con due incontri preparatori a Roma e Wittenberg) ha sicuramente favorito una partecipazione più attenta e cosciente da parte delle chiese coinvolte, ma non ha impedito forti tensioni tra di esse e, per quanto riguarda in particolare la chiesa cattolica, tra gerarchia e movimenti di base, di cui si è chiaramente cercato di contenere la partecipazione rispetto alle precedenti assemblee di Basilea (1989) e Graz (1997). Soprattutto, l’Assemblea di Sibiu si è chiusa con un incidente increscioso: il surrettizio inserimento, nel messaggio finale, di un inciso sulla difesa della vita “dalla concezione alla morte naturale”, proposto da un delegato cattolico dell’Opus Dei e presentato solo verbalmente all’assemblea. Il risultato fu che alla cerimonia di chiusura il messaggio finale non venne diffuso, e ci vollero due settimane perché KEK e CCEE si accordassero sul testo definitivo, in cui l’inciso “incriminato” veniva eliminato.Nonostante questo incidente e la diffusa sensazione che Sibiu fosse stata un “fiasco”, tre mesi dopo la sua chiusura, il 23 novembre 2007, il quotidiano vaticano L’Osservatore Romano ospitò in prima pagina un intervento del pastore riformato francese Jean-Arnold de Clermont, allora presidente della KEK, intitolato: “L’Assemblea di Sibiu ha smentito lo stallo ecumenico”. Il ragionamento di de Clermont era semplice: senza nascondere le difficoltà del cammino ecumenico e le tensioni fra le chiese, il presidente della KEK ricordava che il “popolo ecumenico” presente a Sibiu “ha chiaramente affermato che vale la pena di continuare a dialogare”. Ciò può essere “difficile e aspro”, ma dei progressi sono possibili, come mostra ad esempio la raccomandazione del messaggio finale che invita “a proseguire il dibattito sul riconoscimento reciproco del battesimo”, o il fatto che i delegati di Sibiu abbiano “riaffermato il loro impegno a far avanzare questioni che tutti abbiamo a cuore, come la salvaguardia dell’ambiente, la giustizia sociale, l’accoglienza degli immigrati, la lotta contro la povertà in Europa e nel mondo, l’impegno per la pace”. Di fronte alla constatazione che “i membri delle nostre comunità, così diverse tra loro, sono su tanti temi impegnati in un cammino comune”, i responsabili delle chiese devono chiedersi: “siamo noi pronti ad accompagnarli perché alla comune testimonianza si uniscano una sempre più profonda spiritualità ecumenica, una lettura comune della Bibbia, un dialogo teologico sempre più forte?”. E per meglio svolgere questo compito di “accompagnamento”, per de Clermont si trattava non solo di proseguire e ottimizzare la collaborazione tra KEK e CCEE, ma addirittura di chiedersi se non fosse il caso di “cominciare a lavorare ad un’unica struttura ecumenica europea” la cui creazione gioverebbe “non solo in termini di efficacia, ma anche per ritrovare una visione dell’ecumenismo a lungo termine”.Sono passati sei anni da questo intervento “visionario” di de Clermont. Che cosa è cambiato, nel frattempo? Direi che la situazione è peggiorata su tutti i fronti. La KEK, che si prepara a tenere fra pochi giorni la sua 14° Assemblea (Budapest, 3-8 luglio), dal 2009 attraversa una crisi organizzativa e finanziaria non indifferente; la collaborazione con il CCEE (privato nel frattempo di un altro “visionario”, il suo segretario mons. Aldo Giordano, trasferito ad altro incarico) batte la fiacca, i 10 anni della “Carta ecumenica – Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa”, approvata dai due organismi nel 2001, sono stati celebrati sotto tono e senza proposte concrete per rilanciare o aggiornare questo importante documento; la Chiesa ortodossa russa ha sospeso la sua partecipazione alla KEK in polemica con il Patriarcato di Costantinopoli sulla questione delle due chiese ortodosse estoni (una dipendente dai russi, l’altra in comunione con Costantinopoli)… E chi più ne ha, più ne metta.Nonostante tutto questo, a mio avviso l’intervento di de Clermont mantiene tutta la sua validità. L’ecumenismo è irreversibile, e la rigidità delle strutture ecclesiastiche (ed ecumeniche) non riuscirà a fermare la volontà del “popolo ecumenico” di testimoniare insieme e camminare verso l’unità. E’ l’impressione che si ricava anche dalla lettura del rapporto alla prossima Assemblea di Budapest del nuovo Segretario generale della KEK, il pastore protestante belga Guy Liagre, che accanto alle indubbie difficoltà (relative soprattutto alla struttura interna dell’organismo ecumenico europeo, diventata troppo complessa e farraginosa) elenca tutta una serie di iniziative che mostrano quanto il movimento ecumenico sia vivo e radicato in tutta Europa. L’augurio che possiamo fare ai delegati di Budapest è che sappiano lavorare a una nuova, più leggera ed efficace struttura per la KEK, senza perdere di vista l’orizzonte più ampio: quello della testimonianza comune di tutti i cristiani in Europa e nel mondo. Nel suo rapporto, Liagre ricorda la scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini, già presidente del CCEE, che “amava sottolineare che l’ecumenismo non mirava necessariamente alla conformità dei punti di vista di tutte le chiese, ma prima di tutto al dialogo al fine di progredire insieme sul cammino che porta a Dio… Per questo, dobbiamo rivolgerci verso l’avvenire, credere in una prospettiva a lungo termine e ai benefici del dialogo ecumenico”. 

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