Rom e Sinti: nostri concittadini da 600 anni all’insaputa di tutti

Scritto da redazione RBE il . Postato in Diritti, Notizie Evangeliche, Rom, Romani, santino spinelli, Sinti, Tra parentesi

La presenza delle popolazioni Romani e Sinti in Italia risale ad almeno seicento anni fa. Nonostante ciò nel corso dei secoli è mancato un processo di integrazione e di conoscenza reciproca. Manca una rappresentanza a livello statale e la loro presenza la si vuole legittimata nei campi nomadi. Campi in cui le condizioni di vita sono al limite del sostenibile, dal punto di vista dell’assistenza sociale, sanitaria e scolastica; questo nonostante l’ottanta per cento dei Rom e Sinti presenti sul territorio nazionale sia composta da cittadini italiani. Dal 2008, quando si è cominciato a parlare di “emergenza nomadi”, circa 170.000 mila persone sono diventate, per l’opinione pubblica, una calamità naturale.

“Nonostante i secoli di convivenza dei Rom non si sa niente niente”, questo è l’aspetto più preoccupante e la deniuncia che lancia il professor Santino Spinelli, musicista, compositore, saggista e docente di lingua e cultura romani presso l’Università di Chieti.

Nelle scorse settimane il tema del pregiudizio anti rom si è fatto sentire in Piemonte a causa dell’episodio di Borgaro, ma dove potremmo partire per parlare dell’origine dei pregiudizi e dello stigma sociale che circonda la popolazione Romani?

Già durante il Rinascimento si possono riscontrare stereotipi funzionali alla politica repressiva: si tratta di vero e proprio razzismo nei confronti dei Rom che si colloca sotto il nome di Rom fobia; ancora oggi si può parlare di una campagna Rom fobica che genera cliché prestabiliti. Sembra che tutti sappiano tutto sui Rom quando invece l’ignoranza è grande rispetto all’origine, al nome di queste popolazioni e alla loro lingua.

La presenza Rom è ancora considerata come straniera mentre, in Italia, sappiamo essere ampiamente storicizzata. Un rapporto caratterizzato dalla segregazione e la ghettizzazione. Perché non si è mai dato un riconoscimento a questa cultura?

A molti è convenuto reprimere e impedire l’integrazione di questa cultura. Ancora oggi i politici che usano un linguaggio razzista e xenofobo ottengono visibilità mediatica e consensi a livello nazionale, quasi convenisse essere razzisti nei confronti dei Rom. È un’etnia non protetta e non valorizzata su cui anche le associazioni che se ne occupano hanno creato degli stereotipi funzionale per proporre agli enti pubblici progetti autoreferenziali ben remunerati. A tutti conviene che i Rom siano un problema sociale nonostante la grande ricchezza culturale che conservano. Ricordiamo che questo popolo proviene dall’India del Nord e attraverso un forte deportazione sono arrivati in Persia e attraverso l’Armenia sono entrati nell’impero bizantino dove furono repressi dai turco ottomani. Scappando da quei territori, una parte dei Rom è arrivata in Europa e anche in Italia. Di uno dei più antichi gruppi che si insediarono qui, quello a cui appartengo, si può far risalire l’arrivo alla fine del 1300. Dopo seicento anni di presenza sul territorio nazionale, i nostri concittadini non conoscono nulla dei Rom e del loro patrimonio artistico, dal punto di vista sociale si fa passare per cultura la segregazione nei campi nomadi. I Rom non andarono via dall’India per una presunta vocazione al nomadismo, ma perché deportati, e possono tranquillamente coesistere con le altre popolazioni, vista la loro sedentarizzazione. Questo vuol dire che il nomadismo non può più giustificare la segregazione nei campi; campi che costano milioni di euro alla società e non risolve, ma acuisce il problema. Quelli che sono nomadi in Italia, è possibile che avessero case in Romania o in Jugoslavia e ora sono ricattati da coloro che gestiscono i campi, dalle organizzazioni, sia laiche che religiose. Bisogna che la situazione sia denunciata.

Ci sono dei paesi da cui potremmo prendere esempio nel riconoscimento della produzione culturale Rom?

In Spagna, sebbene ci siano anche sacche di razzismo, sicuramente c’è un livello di integrazione molto elevato e un riconoscimento della cultura gitana: per esempio il flamenco è diventato patrimonio dell’Unesco. Anche nei paesi dell’est l’integrazione è più che avanzata mentre in Italia siamo indietro rispetto alla situazione dei Rom e dei Sinti, che diventano spesso il pretesto, per le organizzazioni sociali e di volontariato, di scucire soldi agli enti pubblici. Ecco perché la situazione non migliora, addirittura negli ultimi quarant’anni, a fronte di un fiume di denaro speso, la situazione è peggiorata. Questa è una storia totalmente italiana che si è consolidata negli anni in un processo che non vede fine, e che trova nei campi Rom la soluzione. Con questi soldi si sarebbe potuto promuovere un’integrazione seria e aiutare le famiglie che sono costrette a vivere in situazioni disumane.

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