Progetto di formazione degli imam in Svizzera – Intervista a Antonio Loprieno, valdese di Basilea, presidente Conferenza rettori svizzeri

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a cura di Gaëlle CourtensRoma (NEV), 18 dicembre 2013 - Oggi presso l'Università di Friburgo (Svizzera) un gruppo di lavoro multireligioso presieduto dal valdese Antonio Loprieno, archeologo e rettore dell'Università di Basilea, nonché presidente della Conferenza dei rettori delle università svizzere (CRUS), ma anche presidente del consiglio di chiesa della comunità valdese di Basilea, si riunisce in vista della creazione di un Centro universitario per la religione e la civilizzazione islamica. Il pionieristico progetto - voluto dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l'innovazione della Confederazione elvetica - è finalizzato alla formazione e all'aggiornamento degli imam in Svizzera. Quali sono gli scopi di questo progetto, e in che misura può rappresentare un modello anche per l'Italia? Lo abbiamo chiesto al rettore Loprieno. Come nasce la necessità di istituire in Svizzera un percorso formativo di livello universitario per gli imam?L'idea nasce da un dialogo che già da diversi anni si svolge a livello federale con le comunità e organizzazioni islamiche presenti sul territorio. Il tentativo è quello di creare un percorso formativo che, da un lato favorisca l'integrazione dei musulmani nella società svizzera sempre più multiculturale e, dall'altro, permetta di portare avanti un dibattito teologico di qualità sull'islam europeo in genere, e svizzero in particolare. Si è quindi posto il problema di come meglio creare un percorso formativo a livello universitario. In qualità di presidente della CRUS sono stato incaricato dal governo di studiare la questione. A questo scopo ho creato una commissione composta da accademici, da diversi imam presenti a titolo personale e da funzionari dei dipartimenti federali coinvolti. Ne è scaturita una proposta per l'istituzione di una cattedra di teologia islamica per un master universitario di secondo livello, che prevede anche insegnamenti come pedagogia religiosa, assistenza sociale, storia e civiltà elvetica. A cogliere questa opportunità e a farla propria è stata l'Università di Friburgo. Com'è stato accolto questo progetto dalle organizzazioni islamiche nel paese?Sostanzialmente si sono mostrate molto favorevoli all'istituzione di un percorso accademico. Non nascondo che ci sono anche delle difficoltà, tant'è che sul fronte delle comunità più radicali qualche esitazione c'è. Ma non potrebbe essere diversamente. In fondo siamo solo all'inizio di un processo. Nulla a che vedere con il caso delle facoltà teologiche protestanti esistenti già da cinque secoli e quindi con una consolidata tradizione alle spalle. A suo avviso, questo può essere un modello anche per l'Italia?Certamente sì. C'è tuttavia da considerare che l'immigrazione musulmana in Italia è avvenuta in anni difficili della storia del paese. Pertanto, da parte degli enti pubblici il fenomeno è stato gestito in modo poco chiaro lasciando che regnasse l'improvvisazione. Temo inoltre che in Italia ci sia un altro elemento che faccia da freno rispetto a quanto succede in alcuni paesi europei: e cioè la tradizione cattolica e la conseguente mancanza di una consolidata cultura laica. Le facoltà di teologia sono un fenomeno protestante, e non è un caso. Nella visione cattolica la religione viene insegnata nei seminari. Non esiste la dimensione del dibattito pubblico. Non so se l'Italia è pronta a porsi un problema di questo genere, ma a livello teologico non vedo attualmente grandi movimenti. In che modo il suo essere valdese ha inciso sulle linee di lavoro della Commissione da lei presieduta?Non nascondo una certa simpatia, in senso etimologico ma anche reale, per le questioni attinenti la tutela delle minoranze, ma anche del pluralismo culturale e religioso. Per il resto, il fatto che il presidente della CRUS fosse non solo valdese, ma anche archeologo, è stata certamente una felice coincidenza. La mia prossimità culturale da una parte - l'archeologia mi ha portato a studiare l'arabo e l'egittologia - e, dall'altra, l'affinità con il fenomeno religioso nel suo insieme e con il fatto minoritario nello specifico, probabilmente hanno contribuito a portare a buon termine questo progetto che ora lascio interamente nelle mani dell'Università di Friburgo. 

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