Non solo gas russo nella partita energetica: «L’Europa agisca da Europa»

Scritto da L'informazione di Rbe il . Postato in Notizie Evangeliche, Tra parentesi

La fine dell’estate ci ha portato una domanda che avevamo già affrontato nel 2005 e nel 2009 con la crisi del gas tra Russia e Ucraina: quali sono le opzioni energetiche dell’Europa?

È indubbio che la Russia sia il principale fornitore di energia del nostro continente, ma dall’altro lato c’è un’evidente dipendenza russa dalle commesse europee, messe a rischio dalla crescente importanza degli Stati Uniti, leader mondiale nel settore delle energie e fortemente impegnato in chiave anti–russa.

Per approfondire il tema e provare a darci alcune risposte abbiamo intervistato Lorenzo Colantoni, collaboratore del settimanale l’Espresso e della rivista di geopolitica Limes.

Ascolta e scarica l’intervista con Lorenzo Colantoni

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Quanto dipende dalla Russia l’approvvigionamento energetica dell’Europa?
È una domanda ambivalente, secondo me cioè che dovremmo chiederci, piuttosto, è questo: dipende di più la Russia dal denaro europeo o l’Europa dal gas russo? È una questione complessa, con molti risvolti non soltanto geopolitici.

Allora proviamo a rispondere a questa doppia domanda.
Partiamo dal lato europeo: il grosso problema dell’Europa è che effettivamente ha la Russia come suo primo fornitore su tutti i fronti. Noi di solito parliamo solo di gas perché l’Ucraina è l’hub principale del gas europeo, quindi l’attenzione è focalizzata su quello, viste anche le due crisi del 2005 e del 2009, che in realtà consistevano in un taglio di gas dalla Russia verso l’Europa.
Però quello che non pensiamo è che le più grandi esportazioni di carbone e di petrolio per l’Europa arrivano dalla Russia, quindi il taglio non è soltanto un taglio di gas, ma in generale delle forniture di idrocarburi che l’Europa usa di più. Di qui i problemi che paesi come la Bulgaria ebbero quando si ritrovarono a non avere più combustibile per il loro sistema industriale.

Per i paesi dell’Est Europa ci sono ancora più problemi, anche perché non rientrano nei piani energetici del sistema europeo.
Secondo me il grosso problema, più che la questione delle rinnovabili, sono le capacità di interconnessione tra paesi europei, ed in particolare per quello che si chiama reverse flow, cioè la capacità di far andare il gas in due direzioni. Noi possiamo lavorare quanto vogliamo sulla diversificazione delle importazioni energetiche europee, ma se ci ritroviamo ad avere 22 stati che sono perfettamente diversificati, un hub dalle potenzialità come quelle italiane di prendere dal sud, da una parte e dall’altra, e però poi non possiamo dare il gas a chi serve in momenti di crisi in Europa perché questi sono interamente dipendenti dalla Russia e non connessi col resto d’Europa, allora il problema è grosso.

Ma invece la Russia quanto dipende dall’Europa sul piano economico?
La Russia dipende molto dall’Europa per un motivo principale: il gas che la Russia manda all’Europa non ha ancora un altro sbocco possibile. Sì, c’è stato il famoso accordo tra la Russia e la Cina sulla fornitura energetica, ma il gasdotto ancora non funziona, e soprattutto la Russia lavora con alcuni tipi di contratti, i cosiddetti oil indexed, cioè indicizzati al prezzo del petrolio, che sono a lungo termine, e questo porta un crescente malumore, da parte dell’Europa e non solo, nei confronti di questi che sono ormai contratti non adatti a un mercato del gas in cui guida sempre di più il prezzo spot, deciso ad ogni acquisto. Il punto è questo: la Russia non può vendere il gas all’Europa, al prezzo che vuole e col contratto che vuole, perché nel momento in cui romperà con l’Europa non avrà un altro compratore. La crescente importanza degli Stati Uniti sul mercato energetico è dovuta anche a questo uso di contratti che non sono oil indexed, e che porteranno loro vantaggi.

La partita ucraina, secondo lei, è più una questione tra Stati Uniti e Russia, cioè tra fornitori, o tra Unione Europea e Russia?
Secondo me molti ancora non hanno compreso effettivamente se il nodo della questione sia sull’Europa o sugli Stati Uniti. Io penso che l’Europa deve rendersi conto che è lei a doversi relazionare in prima persona con la Russia, e non gli Stati Uniti, per il semplice fatto che il dramma che sta succedendo in Ucraina, al di là delle crisi e delle emergenze da qui all’inverno, porta al problema sistemico dell’Europa. Si parla di problemi di interconnessione, di agire come un’unione e non come una serie di piccoli stati che pensano ognuno al loro piccolo interesse, ed è uno dei punti che durante la discussione del framework dell’energia e del cambiamento climatico che si discuterà da qua ad ottobre hanno portato a delle argomentazioni che prima erano fantascienza, come quella di sottoporre alla Commissione Europea ogni accordo energetico che gli stati membri individualmente vogliono fare con paesi terzi.
Certo, da un lato è una costrizione nel senso che gli accordi energetici di paesi come l’Italia, che importa l’82% della propria energia, sono probabilmente tra i trattati commerciali più strategici che si possano fare. D’altra parte è anche vero che nessuno dovrebbe volere che si ripeta una situazione come quella del North Stream, in cui dopo le due crisi che abbiamo già citato tra Russia ed Europa, con l’Ucraina in mezzo, la Germania si metteva d’accordo con la Russia per fare un gasdotto che arrivasse dalla Russia alla Germania bypassando cinque paesi europei, che non erano decisamente felici di questo.

Quali sono le vie alternative? Penso al Tap tra Azerbaigian ed Europa, tra le altre.
Questo in realtà è un tema complesso, perché bisognerebbe esplorare le possibilità del gas azero.
Innanzitutto non è scontato che questo gasdotto, con il ramo turco e quello adriatico, venga portato a termine, visto che anche il South Stream, con tutto l’appoggio politico e i fondi russi probabilmente rischia il fallimento, e il Nabucco, quello europeo, è già fallito.
Comunque, anche completando quel lavoro, noi ci ritroviamo ad avere un paese come l’Azerbaigian, che di potenzialità ne ha, ma è comunque sotto una forte influenza della Russia, che ha comunque un consumo domestico importante non per la dimensione della sua industria né per la sua popolazione ma per l’altissima inefficienza energetica. Ci ritroviamo di fronte ad un paese che di potenzialità ne ha tante ma di capacità di realizzarne solo fino a un certo punto. Vedo la chiave da altre parti rispetto al Mar Caspio.
Innanzitutto bisogna capire cosa intendiamo per Europa, perché possiamo dire che la soluzione è l’Azerbaigian oppure l’Iran, ma quelle potrebbero essere soluzioni per l’Italia o per i paesi dell’Est, non per Regno Unito, Germania o Francia. La prima soluzione dovrebbe essere domestica e dovrebbe essere quella della regionalizzazione dell’energia in Europa. Invece che pensare ad un obiettivo dell’intera Europa a 28 stati bisogna invece pensare ad un obiettivo che riguardi quei 6-7 paesi di un’area che potrebbe essere il sudest europeo, cioè Italia, Bulgaria, Slovenia e così via, e in quel caso si potrebbe diversificare in parte sul Medio Oriente, in particolare sull’Iran, e a sud sull’Algeria, che potrebbe essere un’alternativa per l’Italia alla Libia, che è nella situazione che sappiamo e che non sappiamo se e quando tornerà a normalizzarsi.

Ieri il ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha dichiarato che l’Italia è in grado di superare l’inverno senza forniture di gas dalla Russia. È credibile?
Questo è in realtà un dato facilmente verificabile, sono informazioni quotidiane disponibili, che ci dicono che le riserve di gas dell’Italia sono oltre il 99%, per cui di gas per passare l’inverno ne abbiamo.
Qui però i punti sono due: è vero che il gas ce l’abbiamo per l’inverno, ma cosa verrà dopo non lo sappiamo. Il secondo punto è che comunque non sarebbe male per l’Italia avere una fornitura di gas che possa supportare anche gli altri paesi europei. Noi abbiamo avuto il problema negli anni passati di aver acquistato troppo gas, e purtroppo avendo firmato delle clausole con i fornitori russi per cui non potevamo rivendere il gas ottenuto non ce ne facciamo nulla. Ma se invece riuscissimo ad avere contratti differenti e una quantità di gas tale da poterlo fornire a paesi europei che, come la Bulgaria, sono in condizioni molto più precarie di noi, questo potrebbe essere un vantaggio sia per l’Europa sia per l’Italia. Il problema però sono le forniture e gli accordi diplomatici. I paesi europei dovrebbero avere l’intenzione, per una volta, di agire di fronte all’esigenza come Europa.

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