Lampedusa a un’anno dalla strage

Scritto da redazione RBE il . Postato in Notizie Evangeliche, Tra parentesi

Un anno fa una barcone con 386 persone a bordo affonfava al largo di Lampedusa cercando di ripercorrere la rotta migratoria più pericolosa al mondo; infatti solo dal gennaio di quest’anno i morti nel Mediterraneo sono stati 3072. A Lampedusa, in un clima di forse tensione, eventi e manifestazioni vogliono ricordare il terribile incidente dell’anno scorso ma anche mantenere alta l’attenzione su quanto continua ad accadere a centinaia di migranti che tentano l’approdo sulle coste europee.Ne parliamo con Marta Bernardini, operatrice di Mediterranean Hope:

 

Come si possono descrivere questi giorni appena trascorsi?

Qesti giorni a Lampedusa sono stati molto intensi, molto ricchi di iniziative e di presenze. Le commemorazioni sono iniziate il 2 ottobre con una celebrazione interreligiosa organizzata dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e dalla parrocchia locale, inserito nel programma del Sabir Fetival e delle iniziative del Comitato 3 ottobre, a cui hanno partecipato moltissime persone ed è stato un momento di grande commozione. Anche il giorno seguente non sono mancate le iniziative a cui, però, si sono aggiunti momenti di protesta.

I Lampedusani hanno sentimenti contrastanti a proprosito di queste commemorazioni. Come si è manifestata questa ambivalenza?

Da un lato i lampedusani vivono queste iniziative come una passerella politica, come un palcoscenico su cui, per l’occasione, arrivano le telecamere a dare un immagine parziale e a volte irreale di quella che è l’isola. D’altra parte c’è la rabbia per il senso di abbandono di cui soffrono gli isolani soprattutto durante il resto dell’anno. Molti si lamentano che i buoni propositi arrivano sono in occasione delle ricorrenze, ma dalla tragedia dell’anno scorso molte altre ne sono avvenute e niente è cambiato. Non c’è stata una vicinanza  da parte delle istituzioni ai lampedusani che si sono spesso trovati a salvare le vittime in mare, non c’è stata la possibilità di vicinanza ai superstiti  e ai familiari delle vittime della tragedia che sono tornati sull’isola. Tutto questo ha contribuito a scaldare la situazione, aggravata dalla fine di una stagione estiva che non è stata soddisfacente per un luogo che vive soprattutto di turismo.  C’è stata una manifestazione degli imprenditori di Lampedusa che hanno deninciato l’abbandono di quelle che sono le reali necessità dell’isola e si è dimostrata critica verso la possibile riapertura del centro d’accoglienza. Le critiche vanno soprattutto verso le passerelle dei politici che arrivano sull’isola per piangere i morti, ma che al contempo mettono in atto le politiche che causano le tragedie in mare e il sovraffollamento dei centri. La protesta si è schierata anche contro i media impedendo diverse dirette della Rai, per  avitare il processo di mediatizzazione che in questi anni ha soffocato Lampedusa.

Il sindaco, Giusi Nicolini, come si pone rispetto a queste critiche?

Il sindaco e l’amministrazione sono stati, insieme all’Arci, i promotori del festival Sabir, che aveva l’intento di rendere l’isola vissuta anche dall’esterno attraverso convegni e spettacoli. La prima critica che è arrivata è che il festival è stato molto poco partecipato dai lampedusani ed è stato vissuto come qualcosa portato dall’esterno che parlava poco agli abitanti e poco li coinvolgeva. La stessa critica è rivolta all’amministrazione, ovvero di essere lontana dai bisogni dei cittadini e molto concentrata verso l’esterno, impegnata a trasmettere l’immagine di un’isola attiva nelle politiche delle migrazioni ma molto distante dalle necessità dreali L’accoglienza al festival è stata comunque positiva, anche se la stessa Arci, che si aspettava un’isola collaborativa, ha contribuito a creare un clima di dissidio all’interno dell’organizzazione abbastanza eclatante.

Stiamo andando verso la fine di Mare Nostrum e l’arrivo del nuovo programma Frontex Plus. Quale giudizio si può dare di queste missioni?

Rimangono i dubbi sul perché si sia scelto di promuovere una nuova operazione della Marina esautorando quello che era sempre stato compito dei salvataggi in mare della Capitaneria di Porto. Forse si poteva immaginare di dare un rinforzo al lavoro della Capitaneria invece di militarizzare l’operazione in mare ma senza dubbio l’operazione Mare Nostrum ha salvato molte vite. La preoccupazione ora è che Frontex Plus non riesca a fare lo stesso. Più volte è stato dello che Frontex è un’agenzia che si occupa di monitorare quello che accade, chissà se il Plus comprende il salvataggio di vite umane. se questo venisse a mancare ci si ritroverebbe in una situazione pre Mare Nostrum: molte vittime in mare e molte informazioni mancanti sulla localizzazione delle imbarcazioni dei migranti. Quello che  sembra a noi operatori e alle associazioni, è che si vada in una direzione di respingimento delle persone, piuttosto che di soccorso e accoglienza.

 

 

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