Intervista ai Blooming Iris

Scritto da redazione RBE il . Postato in amondawa, andrea orsini, blooming iris, daniele razzicchia, guglielmo sacco, lazio, nicolò capozza, Notizie Evangeliche, Steadycam

Il sound rarefatto ma coinvolgente dei romani Blooming Iris si concretizza in Amondawa, un album di rara bellezza e forza espressiva, rock ed elettronico.


Blooming Iris

Nicolò Capozza (voce), Daniele Razzicchia (chitarra, sintetizzatore), Guglielmo Sacco (basso), Andrea Orsini (chitarra)
Provenienza: Roma, Lazio

Si chiamano Blooming Iris e arrivano dalla capitale, sono in quattro e ufficialmente sono nati un paio di anni fa, anche se hanno esperienze musicali che affondano le radici nei primi tempi dell’adolescenza. Inizialmente rock, la strada musicale della formazione della capitale ha cambiato tracciato, raggiungendo un’emotivitĂ  particolare, raccolta, intima, eppure urgente e forte nel suo modo di presentarsi.

Nel corso del tempo, fin dal primo EP Fields, la musica dalla band si è spogliata del superfluo, asciugandosi, semplificandosi, lasciando l’essenziale a diventare protagonista di ogni traccia. Un’evluzione naturale che ha fatto emergere il vero bisogno comunicativo dei Blooming Iris, che hanno lasciato un poco da parte l’irruenta istintivitĂ  per accogliere sensazioni nuove, che si concretizzano in un lavoro leggero ma che sa essere anche oscuro e nebbioso, gelido, al bisogno. Grazie ad una creativitĂ  democratica e a tratti conflittuale, la band lavora prima con l’accetta e poi con il cesello per sfrondare ogni composizione lasciando solo ciò che deve rendere l’idea della struttura del messaggio.

Con il nuovo Amondawa, il full lenght, la ricerca interiore dei componenti del gruppo diventa ricerca stilistica, in un connubio che è in grado di tradursi reciprocamente; l’emozione diventa suono, il suono evoca un’emozione, in un circolo fatto di rimandi e ammiccamenti sonori, che permettono all’immaginazione di avere un ruolo centrale nell’ascolto e nella lettura dei testi. L’elettronica incontra il rock producendo un bel risultato che in Amondawa trova un interessante esempio di giusta applicazione, pur non esagerando e non snaturando nessuno dei due modi, semplicemente offrendone uno nuovo.

Anche la voce del cantato è matura, consapevole, e si adatta all’intreccio compositivo, diventando strumento anch’essa e lasciando un poco da parte il protagonismo classico, ma defilandosi e piuttosto suggerendo lentamente immagini e suggestioni. Nel complesso un progetto fresco e meditato che si lascia ascoltare volentieri, grazie ad un nocciolo rock che conserva la forma canzone e le strutture piĂą orecchiabili.

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