I primi cinquant’anni (postumi) di C. S. Lewis – Editoriale di Luca Baratto

Scritto da Fcei il . Postato in Notizie Evangeliche

Il prossimo 22 novembre nel “Poet's Corner” (L’angolo dei poeti) dell'Abbazia di Westminster a Londra, verrà scoperta una targa dedicata a C. S. Lewis. Un onore che certamente l'accademico, scrittore e apologeta cristiano britannico, autore delle famose “Cronache di Narnia”, non avrebbe mai immaginato di poter ricevere dai posteri. Negli ultimi anni della sua vita Lewis aveva espresso la convinzione che la sua fama si sarebbe dissolta entro cinque anni dalla sua morte. Ed invece, esattamente cinquant'anni dopo, la sua memoria verrà consacrata nello stesso luogo dove riposano Geoffrey Chauser, Edmund Spencer e il dottor Johnson.In realtà, i dubbi di Lewis sulla sua fortuna postuma erano espressione di un giudizio realista. Negli anni Sessanta, effettivamente, la sua notorietà diminuì, potremmo quasi dire dal giorno stesso della sua morte – 22 novembre 1963 -, la cui notizia venne mediaticamente oscurata dall'assassinio del presidente Kennedy. Già da tempo Lewis aveva cominciato a sentirsi estraneo a un mondo che stava cambiando, in cui Dio sembrava avere sempre meno rilevanza e in cui gli stessi uomini di chiesa, a suo parere, rinunciavano a difendere la formulazione tradizionale della fede cristiana per offrirne una versione annacquata e accondiscendente nei confronti di una modernità scettica e atea. A nuove generazioni che si interrogavano su ben altre questioni – dalla guerra in Vietnam alla libertà sessuale, alla “morte di Dio” - Lewis poteva apparire come una reliquia del passato, un “dinosauro”, per utilizzare l'immagine con cui nel 1954 egli stesso si era presentato ai suoi studenti di Cambridge. Il futuro di Lewis sembrava circoscritto alle cerchie più tradizionaliste e conservatrici del cristianesimo.Le cose sono andate diversamente e oggi l'interesse verso Lewis e la sua opera è crescente. A determinare questo cambiamento sono stati elementi sia legati alla figura del nostro autore, sia al mutato clima culturale. Il tempo ha reso ragione della complessa identità personale, letteraria e spirituale di Lewis che non è mai stato un personaggio facile da classificare. Molti hanno provato ad “arruolarlo” nei propri ranghi, con poco successo: troppo incline a includere tra i piaceri della vita una bevuta al pub e il fumo della pipa per venire annoverato tra gli “evangelicals” americani; troppo disinteressato al mondo della politica per essere mischiato ai “neo-con”; troppo consapevole del carattere metaforico di ogni linguaggio per essere confuso con un letteralista biblico. Dunque, conservatore sì, ma senza etichette. Questa complessità personale risulta evidente nell'ambito letterario se solo si guarda al vasto e oltremodo variegato mondo dei suoi lettori. Lewis è letto dagli accademici, per le sue opere sulla letteratura medievale e rinascimentale e i suoi studi sull'uso dell'allegoria; è letto dai bambini che dagli anni Cinquanta ad oggi non hanno mai abbandonato le storie di Narnia; è amato dagli appassionati di fantascienza per la sua trilogia spaziale; è letto dai cristiani per le sue opere di apologetica. Una platea così vasta è difficilmente riconducibile ad una sola tipologia ed è grazie a questa massa diversificata di lettori che piano piano è emerso un interesse per Lewis scrittore, con l'uscita di testi di critica letteraria che hanno contribuito a situarlo nel contesto dei dibattiti del suo tempo, dando così adeguato spessore alla sua figura. Infine, Lewis è riuscito a superare anche le barriere confessionali. Si è sempre considerato un apostolo laico del cristianesimo, il cui compito era l'esposizione degli elementi della fede condivisi da tutti i cristiani, quel “semplice cristianesimo” (“Mere Christianity”) che dà il titolo alla raccolta di conversazioni radiofoniche diffuse negli anni Quaranta dalla BBC.Poi, naturalmente, ci sono altri fattori da considerare. Nella società di oggi la religione non sembra essere un elemento così marginale come temuto da Lewis e auspicato dai teorici della “città secolare”. Ma l'elemento di maggiore discontinuità culturale è l'estrema popolarità di cui oggi godono i racconti di fantasia. E' un fatto che all'epoca di Lewis la fantasia fosse relegata nella stanza dei bambini, mentre oggi è apprezzata in egual modo da ogni fascia d'età. Per Lewis la fantasia era un modo per allargare lo spazio di esperienza di una società che definiva la realtà nei termini di ciò che era concretamente verificabile e, per questo, aveva espulso Dio dal proprio orizzonte. Ma naturalmente c'è di più: c'è il piacere di scrivere e di leggere una bella storia; c'è la convinzione, maturata attraverso i suoi studi accademici, che la metafora sia la base del linguaggio e che essa sia fonte di conoscenza – una concezione non troppo distante da quanto teorizzato dal filosofo Paul Ricoeur con l'idea della “metafora viva”. Il tempo è stato generoso con Lewis ed ha fatto emergere i suoi lati più veri ed autentici. Naturalmente la sua eredità rimane un tesoro dal quale si possono trarre cose buone e cose meno buone - o addirittura cattive, a seconda dei punti di vista. Ma il suo nome accanto a quello dei grandi della letteratura britannica – molti dei quali furono oggetto delle sue ricerche di accademico - è un onore che a cinque anni dalla sua morte nessuno avrebbe previsto ma che a cinquant'anni di distanza appare come la consacrazione di una personalità ben più ricca e complessa dell'immagine semplicistica a lungo sostenuta in egual misura dai suoi estimatori e dai suoi detrattori.

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