Emanciparsi dalla schiavitù con il lavoro

Scritto da L'informazione di Rbe il . Postato in Cominciamo bene, Flussi migratori, Frontex, Notizie Evangeliche, Pellegrino della terra

Alcune notizie di questi giorni, come la partenza di Mos Maiorum, con la schedatura dei migranti irregolari o le dichiarazioni dell’Isis sull’intenzione di «rapire le donne e farne schiave sessuali», ci permettono di riflettere sulla situazione della tratta di esseri umani oggi.

Ne abbiamo parlato con Vivian Wiwoloku presidente dell’associazione “Il Pellegrino della Terra” che si occupa di donne immigrate, vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale e che ha attivato recentemente delle borse lavoro presso il Centro Diaconale La Noce di Palermo.

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Cosa pensa dell’operazione Mos Maiorum e delle accuse di scarsa attenzione dell’Italia nei confronti della tratta degli esseri umani?
«Una questione difficile da accettare in questo millennio, un comportamento incredibile da parte dell’Europa. Molte persone scappano dalle difficoltà e questo tipo di accoglienza non è accettabile. Molti di loro sono appunto vittime della guerra e della tratta».

Perché il tema della tratta sembra essere nascosto quando si parla di flussi migratori?
«È veramente nascosto. Le organizzazioni criminali responsabili della tratta sono all’estero, ad esempio in Libia, e costringono le persone a partire. Le ragazze vittime della tratta sono spesso minorenni. Alcune di loro ci hanno raccontato le disavventure e le difficoltà che hanno affrontato prima di arrivare. Etichettare tutti come immigrati clandestini, senza vedere che cosa c’è in mezzo, è sbagliato. In Italia c’è poca attenzione sull’argomento. Ma il problema è anche la mancanza di fondi per affrontare il problema. Parlando delle ragazze vittime dello sfruttamento sessuale, molte di loro ci chiedono un’alternativa alla strada. Chi può offrirgliela? I centri di accoglienza? Ora sono chiusi, senza fondi, senza la possibilità di offrire un percorso, una formazione, un lavoro: questo è la vera e seria alternativa alla strada. Oggi tutti questi aspetti sono trascurati. Ci vuole una riflessione profonda: come cristiani, dobbiamo continuare a cercare Cristo nella strada e nei volti di queste persone. A Palermo l’istituzione comunale è abbastanza sensibile, sta facendo una campagna contro la tratta, e per esempio, ci ha dato gratuitamente la sede della nostra associazione. Ma oltre questo c’è da lavorare sulla sensibilizzazione delle persone».

Come lavora il Pellegrino della Terra?
«Quando le ragazze ci chiedono aiuto noi interveniamo, soprattutto grazie al sostegno della Chiesa valdese, con i progetti Otto per mille, e grazie al Centro Diaconale la Noce: interveniamo con la protezione, grazie alla collaborazione con la polizia, e successivamente con un corso di alfabetizzazione e la formazione al lavoro. Ora abbiamo creato una cooperativa, Irepo, che può offrire un’altra possibilità di lavoro alle ragazze. Il Pellegrino è in sinergia con le altre 30 associazioni del Coordinamento Antitratta, con le quali lavora anche per la questione del lavoro, che permette alle ragazze di non ricadere nel giro della schiavitù. Qualche giorno fa abbiamo dato delle borse lavoro per la formazione a ragazze che sono impegnate in alcune strutture, tra cui il centro Diaconale La Noce. Un’attività lavorativa seria e dignitosa permette alle donne vittime di tratta di entrare in contatto costruttivo con altre persone, aspetto molto importante».

Quali difficoltà affrontate nel vostro lavoro?
«Studiamo le situazioni di queste donne caso per caso, alcune possono restare in città, altre devono lasciare Palermo per motivi di sicurezza e trasferirsi in altre comunità, dove però torna il problema della mancanza di fondi. Se una ragazza ha già iniziato a lavorare, ha riacquistato fiducia, in noi, e in se stessa. Ma se non ce la facciamo a darle questa opportunità non raggiungiamo l’obiettivo e vincono le associazioni criminali che dicono alle ragazze che non c’è un’alternativa alla strada. Per fermare il fenomeno della tratta non basta lavorare in Italia. Ci vanno rapporti tra gli stati e bisogna affrontare il problema nei paesi di partenza».

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