Culto di Domenica 17 febbraio 2013 a cura del past. G.Tourn

Scritto da Eugenio Presta il . Postato in Attualità, Comunità, Giorgio Tourn, Guardia Piemontese, il 17 febbraio, XV Circuito, XVII Febbraio

Pinerolo culto 17 febbraio 2013

*In foto un momento del culto del 17 febbraio a Pinerolo (Fonte Facebook)

Salmo 90: 1-4

« Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età. Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio. Tu fai ritornare i mortali in polvere, dicendo: «Ritornate, figli degli uomini». Perché mille anni sono ai tuoi occhi come il giorno di ieri ch’è passato, come un turno di guardia di notte ».

L’immagine che Dio che emerge dal testo è quella di una presenza assoluta, che sovrasta le montagne, una muraglia di forza, di certezza.

All’ombra di questa realtà il salmista riflette sulla condizione sua e del suo popolo: una manciata d’erba ai piedi della maglia, fiorisce all’alba, la sera è riarsa. In questa immagine è tutta la nostra storia di singoli e di chiesa: manciata d’erba secca ai piedi della muraglia di Dio. Nei secoli Dio è stato per i nostri padri e le nostre madri l’unico ricetto e noi non siamo stati altro che erba secca.

E lo siamo tuttora perché guardando con occhio lucido il salmista identifica la condizione umana con la fragilità. i nostri giorni: 70, 80 anni non sono che vanità, passano come un sogno notturno, poco più che un dormiveglia dice il vecchio Mosè.

Questa sua considerazione non è originale, non c’è bisogno dello Spirito del Signore per sapere che siamo polvere.

Ma la fragilità del credente uomo è associata da Mosè ad un’altra verità: quella dell’uomo credente: la brevità della vita non è che il suo aspetto appariscente, esteriore; breve ed effimera sì, ma il suo nucleo più intimo, dice Mosè, è altro.

E nel suo discorso compaiono termini inediti nel nostro linguaggio: peccato, iniquità. Essere alienato dice Calvino, cioè fuori della sua autentica condizione di creatura, legno storto che non si raddrizza dice Kant, erba secca che non produce nulla, destinata a bruciare nel forno questo è l’uomo.

Questo il presente; il futuro ? Non lo si può osservare, meditare, non insegna nulla perché non c’è. Si può solo vivere in preghiera. Si può solo invocare la grazia perché anzitutto ci insegni sapienza. La sapienza è il saper valutare cose e uomini e situazioni e comportarsi di conseguenza, è il contrario della furbizia, del calcolo

Ma lo sguardo verso il futuro non è su se stessi ma sull’opera di Dio e la preghiera è che la compia, la manifesti, onori le sue promesse. Il futuro non è nostro è di Dio e riguardo a quel futuro la preghiera del credente è di essere ricuperato al suo servizio.

Essere savio significa valutare la vita in questa prospettiva: da erba secca essere trasformati in creatura, che servono a qualcosa e a qualcuno. Nel cuore di questa riflessione sul nostro presente, molto strutturata e organica, un’invocazione sembra sfuggire dal cuore del salmista: Torna, Signore. Due parole, che definiscono la realtà più e meglio di ogni nostra riflessione, di ogni nostra predicazione. Commentando il salmo 120 Lutero diceva: non solo aspetto il Signore, sono diventato attesa allo stato puro. Forse è quello lo sguardo della fede più vera.

(Giorgio Tourn)

La Riforma è un pensiero vivo se è attuale

di Sergio Rostagno

La predicazione del pastore Giorgio Tourn tenuta a Pinerolo il 17 febbraio 2013 sul Salmo 90, che speriamo sia stata integralmente registrata, dovrebbe essere trascritta parola per parola. Qualcuno, in un successivo momento della giornata, ha avuto modo di dichiarare pubblicamente di essersi sentito coinvolto quasi a sorpresa, non avendo avuto altre occasioni di ascoltare Tourn in precedenza.

Tourn ha fatto un discorso che potrebbe essere studiato frase per frase e preso a modello. In esso si potevano individuare tre grandi sezioni: la denuncia dello sdegno di Dio verso l’umanità vergognosamente incapace; la spiegazione cristologica centrale (la condanna di Gesù al nostro posto!), infine l’accento su coraggio e speranza. A ben vedere sono i capisaldi del pensiero biblico e teologico, ma non sempre essi vengono concatenati e spiegati con la stessa chiarezza.

Infatti la maggior parte della predicazione di oggi individua nella presa di partito la categoria interpretativa più evidente dell’evangelo. Dire evangelo equivale insomma a dire: scegli da che parte stare. L’evangelo è interpretato come decisione, scelta di campo, assunzione di una piattaforma discriminante rispetto a un modo confuso. Si individua prima la discriminante, poi si esorta a prendere posizione. Per evangelo si intende perciò il fatto di prendere posizione. Di conseguenza anche la chiesa è vista sulla base dello stesso parametro. Se poi la realtà non corrisponde, allora ci si piange addosso fino alla prossima occasione di dire le stesse cose.

Penso che molti abbiano letto in questa maniera anche la pubblicità che si è fatta recentemente la redazione del settimanale «Riforma», quando in due anni successivi ha usato a scopo propagandistico frasi storiche. Un anno fa abbiamo letto «La Riforma è una decisione» (dal titolo di un opuscolo di Karl Barth del 1933, dopo la presa del potere da parte di Hitler); quest’anno abbiamo «La Riforma va avanti» (dal capitolo di un libro stampato in occasione dell’anniversario della Riforma nel 1917). Qualcuno avrà pensato che la Riforma equivale a una decisione. Senza decisione nessuna Riforma.

Purtroppo il linguaggio fa a volte brutti scherzi. Il pensiero della Riforma è piuttosto quello che si ritrovava nella predica di Tourn: l’evangelo (dice anche l’apostolo Paolo) non può essere un mio programma, e non lo si può individuare in un programma da realizzare, ma si presenta da sé, (ovvero si «rivela») insieme come giudizio e come salvezza su un mondo di cui tutti facciamo parte senza che nessuno possa sentirsi al riparo in una decisione presa o da prendere. Meno che meno poi, se la «decisione» fosse ridicolamente quella di abbonarsi ad un giornale…

Ma che cosa voleva dire Barth nel 1933? Se si legge l’opuscolo, risulta questo: non ci si può richiamare alla Riforma in maniera revivalistica o supponendo di avere una grandezza alle spalle. Non ci si copra con il nome di Riforma se non si sa che rischio si corre.

Lo stesso pensiero troviamo nel libretto del 1917 dal quale è stato tratto lo slogan pubblicitario di quest’anno. Anche qui l’autore (il tedesco Scholz, più anziano di Barth, ma della stessa scuola e ambiente) diceva: «la Riforma va avanti», non nel senso che non è ancora morta e di ciò siamo contenti, ma nel senso che un pensiero è ancora vivo se è attuale. È attuale se lo portiamo vivo in noi, domandandoci non «se oggi ha ancora qualche cosa da dire», non come «rinasce» in forma astratta, o se esso «ci comunica ancora qualcosa», ma se ci rende inopinatamente partecipi del nostro tempo, come è accaduto nella predica di Tourn (il merito di Tourn è di avere fatto parlare il Salmo, di averci resi contemporanei del Salmo e aver reso il Salmo nostro contemporaneo).

La Riforma ci rende partecipi del nostro tempo non perché essa sia la nostra decisione, ma perché in essa siamo prima di tutto atterrati sul terribile stato del nostro pianeta e della nostra umanità. Da questo giudizio (che non ha nulla a che vedere con i nostri giudizi e le nostre prese di posizione), non ci cava fuori nessuno e non ci caviamo fuori con le nostre forze. Da qui certo si può solo ricominciare a salire. E Tourn ci ha detto che lo si può fare e come si può risalire con umiltà e coraggio, ma solo alla fine ce lo ha detto. L’evangelo non nasce da una convinzione, ma porta talvolta a una convinzione (senza mai confondersi con essa).

(Fonte vociprotestanti.it)


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