Fede e religione

Scritto da Riforma.it il . Postato in Pagina Biblica

Poco prima di essere giustiziato, Bonhoeffer si chiedeva: «Se la religione è solo una veste del cristianesi­mo e que­sta veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi, che cos’è allora un cristianesimo non religioso?»

di Giuseppe Platone

Ragioniamo un attimo su questo insopprimibile sentimento religioso che è parte di noi.

Ragioniamo un attimo su questo insopprimibile sentimento religioso che è parte di noi. In due parole: la religione è la carne. Ma quanto si è scritto contro questa carne! Bisognerebbe, in generale, sdrammatizzare, se non altro per il fatto che la «carne» è la nostra condizione umana con la quale bisogna fare i conti ogni giorno. Non possiamo illu­der­ci di fuggire da questo nostro corpo che è la nostra dimora. Siamo e resteremo intreccio inestricabile di carne e spirito, di identità e carnalità. Non si può neppure stabilire, tra carne e spirito, un confine netto: sin qui arriva l’una e da lì inizia l’altro. Siamo quello che mangiamo, siamo quello che abbiamo letto, che ci hanno raccontato e che abbiamo fatto nostro. Siamo quello che facciamo o non facciamo. Siamo anche il nostro corpo, lo stato di salute, l’età, le malattie, le fissazioni che abbiamo. C’è chi dentro la sua carne vive benissimo e non avverte nessun bisogno di rompere collaudati equilibri. E poi perché farlo? Il problema nasce quando dentro questa carnalità si apre, al di là dei nostri calcoli, una prospettiva diversa. È come se qualcosa dall’esterno entrasse dentro di noi, suscitando nel mezzo della nostra condizione una nuova situazione capace di scompaginare gli equilibri: una nuova situazione che ti mette in crisi, in discussione. E ciò non può succedere al di là della carne e delle sue pulsioni, è un’interlocuzione interna, che risuona nel nostro corpo, che non esclude nulla di quello che noi realmente siamo. Un’interlocuzione che non ci spacca come una mela in due parti, di qua la carne e di là lo spirito. Al contrario, l’interlocuzione riorienta tutto noi stessi verso nuovi obiettivi. Questo riorientamento, che scaturisce dal rapporto con Dio, costituisce certamente un cambiamento radicale. Ma non è così semplice come dirlo: riorientarsi implica una fatica, una perenne tensione tra vecchi e nuovi orizzonti. È come se in noi convivessero, uno accanto all’altro, il desiderio di modificare la prospettiva e, dall’altra, il desiderio di lasciare le cose come stanno.

Provare per credere.

Provare per credere. Poche righe prima del nostro testo Paolo ammette (si vede che era una giornata particolarmente nera): «Il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio quello faccio… Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rom 7, 19; 24). Altro che fuga, è un prendere atto che questo riorientamento è difficile. Ci vuole, per compierlo, una forza che dentro di noi, spesso, non c’è. Io credo che la preghiera sia anche chiedere questa forza di reggere la nostra relazione con Dio. È certamente più facile trovare una via di fuga capace di eliminare la tensione del riorientamento. Una soluzione a portata di mano c’è. Essa risponde come un «placebo» alla necessità di trovare una soluzione. Anziché incamminarsi nella via stretta che ti conduce da una posizione di schiavo alla posizione di figlio, di erede, si preferisce la via larga. Quella che non prevede un’emancipazione dalla «carne». Meglio restare schiavi, piuttosto che diventare liberi con un sacco di nuove responsabilità e problemi in più da gestire in prima persona.

La religione, che è la via larga, ti rassicura e allo stesso tempo indora lo status quo

La religione, che è la via larga, ti rassicura e allo stesso tempo indora lo status quo al punto da farlo diventare accettabile. Più di così che cosa si vuole ancora? La religione funziona a meraviglia. È un grande tranquillizzante! Bonhoeffer si chiede: «Se la religione è solo una veste del cristianesimo e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi, che cos’è allora un cristianesimo non religioso?». Ora collegando la riflessione di Paolo con quella di Bonhoeffer, si potrebbe fare l’equazione: «carne» uguale religione, spirito uguale fede. Uno non può stare senza l’altra, e una non può sostituirsi all’altra. Se la tua fede scade a semplice espressione religiosa e, dall’altra, se non riesci ad alzare lo sguardo dalla tua stessa carnalità, lo spirito di schiavitù la fa da padrone… Ma ristrutturare il nostro rapporto con Dio non dipende da noi. La fede è comunque un dono: non è il frutto di un calcolo come invece è la religione. Posso costruirmi o accettare una religione già confezionata, sperimentata, che propone un percorso, una prassi, un agire, uno stile di vita. E accontentarmi. Ma la fede rompe questa pace dei sensi, non ci illude sulla nostra reale condizione. Perché legge criticamente la nostra vita, compresa anche la sua dimensione religiosa. Accettando la sfida di confrontarsi con le verità religiose del suo tempo, Paolo arriva al nocciolo del problema. Allo stesso risultato è arrivato anche Bonhoeffer anche se materialmente gli è mancato il tempo di approfondire. Io vedo in questo ritorno di religiosità la nostra condizione.

Noi siamo, spesso, uomini e donne religiosi, ma anche persone con una fede radicata nell’Evangelo.

Noi siamo, spesso, uomini e donne religiosi, ma anche persone con una fede radicata nell’Evangelo. Viviamo questa ambivalenza senza, in fondo, mai pienamente risolverla. Non credo che l’Evangelo possa scadere a pura religione, a un juke-box che risponde in automatico alle nostre paure o angosce. È piuttosto la Parola di Dio che irrompe nella tua vita personale, aprendoti a un dialogo, a un confronto di cui non conosci gli esiti. Questo dialogo si ritrova, si riprecisa sempre di nuovo, nel confronto con il messaggio evangelico che rimane sovranamente libero. Perché si colloca al di là della religione. L’Evangelo ci rimanda a qualcosa che non riusciamo a padroneggiare, ci travalica. Ci sfida. È il regno, è il mondo delle realtà ultime, è la comunione con Dio che ci apre, con speranza, al domani. Che sarà diverso dall’oggi. A collegare i giorni rimane la ricerca di giustizia, la tutela della dignità di o­gni persona, l’amore per chi ci sta davanti, la condivisione, la passione per una società solidale che sappia accogliere. Un sogno? Ma sì, la fede è un sogno che al risveglio ti elettrizza a fare cose vere, concrete, senza attendersi una contropartita. La risposta, che scaturisce dalla relazione con Dio, risuscita la fede che muore. E che rischia sempre di trasformarsi in religione. Come un figlio che vorrebbe essere schiavo di suo Padre. Ma l’Evangelo, al contrario della religione, al di là della fede, non lo consente.

(Prima di una serie di tre meditazioni)

( 9 aprile 2013)

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