Cristo è annunciato

Scritto da Riforma.it il . Postato in Pagina Biblica

Il Signore opera in due modi: permette che in qualunque condizione l’evangelo sia annunciato e agisce nel suo apostolo rendendolo allegro, attivo e fiducioso.

Bruno Rostagno

Testo biblico

12Desidero che voi sappiate, fratelli, che quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso del vangelo; 13al punto che a tutti quelli del pretorio e a tutti gli altri è divenuto noto che sono in catene per Cristo; 14e la maggioranza dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la parola di Dio. 15Vero è che alcuni predicano Cristo anche per invidia e per rivalità; ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo. 16Questi lo fanno per amore, sapendo che sono incaricato della difesa del vangelo; 17ma quelli annunciano Cristo con spirito di rivalità, non sinceramente, pensando di provocarmi qualche afflizione nelle mie catene. 18Che importa? Comunque sia, con ipocrisia o con sincerità, Cristo è annunciato; di questo mi rallegro, e mi rallegrerò ancora; 19so infatti che ciò tornerà a mia salvezza, mediante le vostre suppliche e l’assistenza dello Spirito di Gesù Cristo, 20secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non aver da vergognarmi di nulla; ma che con ogni franchezza, ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte.
(Filippesi 1, 12-20)

Possiamo essere interessati dalle traversie di un apostolo. Se ne potrebbe trarre un dramma, e forse qualcuno l’ha fatto. Ma nella Lettera ai Filippesi le notizie personali sono interamente permeate da ciò che costituisce lo scopo dell’esistenza dell’apostolo: la causa di Cristo.

L’evangelo è la cosa più importante.

L’evangelo è la cosa più importante. Gli esseri umani devono sapere che Dio si è interessato a loro, ha agito per loro. Qualunque cosa accada, l’importante è che l’evangelo sia conosciuto. In generale, fra gli umani si ragiona in modo diverso: l’importante è che non siamo toccati dalla crisi, e che magari ci guadagniamo. Non essere toccati, restare indenni; questo è ciò che sta veramente a cuore. Ma nella vita cristiana non è così. Impossibile non essere toccati, coinvolti, quando si fa conoscere l’opera di Cristo. Gli ostacoli, le minacce, non spaventano più, non condizionano più. La predicazione incontra molti ostacoli, ma Cristo è annunciato; questo è ciò che conta. Non è un buon segno quando ci si sente agitati per le vicende della vita, e a riposo quando si tratta dell’evangelo. La pace di Cristo non è apatia. L’evangelo non è innocuo. Perché gli ostacoli non spaventano più? Quando prendiamo sul serio l’evangelo vediamo subito sorgere le difficoltà. Chi accetterà di cambiare la sua vita per amore di Cristo? Non vi sono nel mondo dei mezzi potentissimi per far tacere chi indica una strada diversa? La risposta dell’apostolo è no. I poteri umani non possono impedire la marcia dell’evangelo nel mondo. Ma se i poteri non possono impedirla, potrebbe impedirla la chiesa stessa. Si sono fatte e si fanno molte esperienze in questo senso. Paolo fa esattamente questa esperienza. Dei colleghi, uomini di chiesa, cercano di scalzare la sua posizione di apostolo. Predicano Cristo, e come potrebbe essere diversamente? Quale ecclesiastico oserebbe non predicare Cristo? Ma la loro intenzione profonda è altrove. La loro azione non è per Cristo, ma contro Paolo. Vogliono approfittare della sua condizione di carcerato per imporsi loro all’attenzione di tutti. È la chiesa che vive per se stessa, per affermarsi, per imporsi all’attenzione del mondo. Quando questo accade, trionfa lo spirito di concorrenza. Non si sostiene il fratello o la sorella nella sua debolezza, ma si usa la sua debolezza per metterlo o metterla fuori gioco. Ma Paolo non ne esce schiacciato, perché in cima ai suoi pensieri sta Cristo, non il suo successo personale. Neppure l’egoismo della chiesa può arrestare il progresso dell’evangelo. Cristo è annunciato. Il Signore è più potente della sua comunità, si manifesta anche attraverso la sua grettezza. Tutto è superato quando, attraverso la miseria dei suoi membri, Cristo si fa strada. Non bisogna tuttavia pensare che la causa dell’evangelo sia una specie di impresa che, per trionfare, si serve della vita umana come se fosse un oggetto; sfrutta le persone che vi si dedicano e, quando non servono più, le scarica. Il Cristo che è predicato non è un despota, è colui che ha dato la sua vita e si prende cura dei suoi discepoli che manda nel mondo come pecore in mezzo ai lupi. Non li manda allo sbaraglio, li invia con un incarico preciso; e quando vanno non li lascia soli ma li difende. Nella testimonianza di Paolo vediamo che cosa può fare il Signore in un uomo che si è messo al suo servizio.

Primo: Paolo è un uomo allegro.

Primo: Paolo è un uomo allegro. Nella sofferenza, nei pericoli, nei contrasti, sa apprezzare ciò che conta; sa vedere il progresso dell’evangelo. Non tutti riescono a vederlo. C’è un pessimismo sul reale potere dell’evangelo che è legato alla paura di impegnarsi. Quando questo accade, non si vede più la potenza di Dio che si manifesta nella debolezza; si vede soltanto la debolezza. Si vede soltanto la forza dell’opposizione che l’evangelo può incontrare. Si ingigantiscono le difficoltà. E si cade nella malinconia, nella nostalgia di tempi migliori, che appartengono al passato. Da questo punto di vista, chi subisce l’opposizione e incontra le difficoltà della testimonianza è considerato un perdente. Invece accade il contrario: proprio colui o colei che si trova sotto accusa o sotto minaccia riesce a cogliere meglio di altri la forza sovrana dell’evangelo che si fa strada nei modi più impensati. Si può obiettare che l’opposizione più difficile da superare è l’opposizione morbida, l’opposizione dell’indifferenza. Ma dobbiamo chiederci se non ci arrendiamo troppo presto al potere dell’indifferenza.

Secondo: Paolo è un uomo attivo

Secondo: Paolo è un uomo attivo. La comunione con Cristo lo rende attivo. Il Signore agisce in lui in modo tale che, anche quando egli è ridotto all’immobilità, in carcere, la sua azione resta efficace. Così l’evangelo non trova solo opposizione, trova anche riconoscimento. Anche i giudici, anche i cittadini, hanno dovuto ascoltare la testimonianza di Paolo, perché egli, nella sua difesa, non si è presentato come un delinquente ma come un cittadino la cui unica colpa è di aver proclamato l’opera di Cristo. Quindi Paolo non si trova semplicemente nella condizione della vittima; resta attivo. La lotta per la libertà religiosa, contro una legislazione repressiva, è stata una giusta rivendicazione da parte dei credenti e un atto di civiltà da parte dei laici non credenti. Ma la forza degli evangelizzatori ed evangelizzatrici che hanno subito limitazioni e anche arresti e processi, è stata quella di attenersi all’annuncio positivo dell’evangelo, senza rinchiudersi mai nel ruolo di vittime. Il cristiano e la cristiana non conoscono il vittimismo. Né ieri, né oggi. Infatti i compagni di fede di Paolo non sono intimoriti dal suo arresto, come sarebbe logico. L’atteggiamento attivo dell’apostolo li incoraggia a diventare essi pure più attivi, a uscire dalla routine delle attività ecclesiastiche (esisteva già allora) per far sentire la parola di Dio nella città.

Terzo: Paolo è un uomo fiducioso.

Terzo: Paolo è un uomo fiducioso. È certo che la vicenda rischiosa che sta attraversando si risolverà in modo favorevole. Paolo non pensa all’esito del processo. La salvezza per lui non sta nell’assoluzione, nella liberazione dalla prospettiva di una condanna a morte. Paolo pensa alla testimonianza che dovrà dare. Se la sua testimonianza sarà esitante, se cederà alla tentazione di tradire il suo Signore per aver salva la vita, allora la sua azione sarà un fallimento e dovrà vergognarsi. Se invece la morte e la risurrezione di Cristo risalterà in tutta la sua portata, allora l’opera dell’apostolo non sarà stata vana. Per questo vuol essere sostenuto dalla preghiera dei filippesi e dall’assistenza dello Spirito. Questa è la salvezza che egli attende e spera. La speranza non è un vago auspicio, è nutrita di attesa. E l’attesa vuol dire protendersi, non stare fermi, camminare verso un obiettivo che non sta in nostro potere, ma è promesso dal Signore, quindi certo. Questo obiettivo coincide con il fedele annuncio dell’evangelo. Se contiamo sulla morte e sulla risurrezione di Cristo, possiamo anche noi evangelizzare con viva attesa e con speranza.

(Seconda di una serie di tre meditazioni)
 (30 agosto 2013)

Preghiera

Non son capace di parlare di te in linguaggio teologico. Quando si afferma che tu sei «della stessa essenza di Dio», non so che cosa voglia dire. Tutto quello che so, è che tu non mi lasci, anche se tento di fuggire lontano da te. Io ti rinnego, eppure devo riconoscere che tu non mi rinneghi. Io ti dimentico, ma tu ti ricordi sempre di me. Io ti lascio dentro alla chiesa, in modo che tu non possa raggiungermi, ma poi ti scopro fuori, all’esterno della chiesa. Spesso desidero che tu mi lasci finalmente in pace, ma so che sarei completamente perduta se tu veramente lo facessi. Se è questo che si vuol dire quando ti si chiama il Cristo, allora tu sei veramente Cristo, il Figlio del Dio vivente, per me.

Una partecipante all’assemblea ecumenica di Nairobi (1975)

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