Cittadini e credenti al tempo stesso

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L’unicità della nostra persona ci obbliga a essere contemporaneamente l’uno e l’altro. Il tempo di crisi che stiamo vivendo ci obbliga a ripensare a questa nostra doppia appartenenza, a questa nostra identità

Mauro Pons

Testo biblico

2Giosuè disse a tutto il popolo: «Così parla il Signore, il Dio d’Israele:” (…) 3io presi il padre vostro Abramo di là dal fiume, gli feci percorrere tutto il paese di Canaan, moltiplicai la sua discendenza e gli diedi Isacco. 4A Isacco diedi Giacobbe (…) e Giacobbe e i suoi figli scesero in Egitto. 5Poi mandai Mosè e Aaronne, e colpii l’Egitto con prodigi che feci in mezzo a esso, e, dopo ciò, (…) 6feci uscire dall’Egitto i vostri padri. (…) Poi rimaneste a lungo nel deserto. (…) 11E passaste il Giordano (…) 13E vi diedi una terra che non avevate lavorata, delle città che non avevate costruite, voi abitate in esse e mangiate il frutto delle vigne e degli uliveti che non avete piantati. 14Dunque temete il Signore e servitelo con integrità e fedeltà; togliete via gli dèi ai quali i vostri padri (…) o gli dèi (…) nel paese dei quali abitate; quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore. 16Allora il popolo rispose e disse: «Lungi da noi l’abbandonare il Signore per servire altri dèi! (…) 18Anche noi serviremo il Signore, perché lui è il nostro Dio»

(Giosuè 24, 2-18)

… 19io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu viva, tu e la tua discendenza, 20amando il Signore, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui, poiché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni.

(Deuteronomio 30, 19-20)

La forza del racconto biblico sta nella sua capacità di connettere le vicende di un tempo antico con il tuo presente: quando ciò accade, la Parola di Dio mi incontra e mi parla o, se preferite, parlandomi, mi incontra nella mia esistenza quotidiana. Poiché, come abbiamo visto, anche i nostri tempi sono tempi in cui la «Parola di Dio è rara», è del tutto evidente che, quando la sentiamo risuonare per noi attraverso l’incontro con chi, o qualcosa (le Scritture), che la testimonia, essa lascia in noi una traccia indelebile. Sono fermamente convinto che, nel corso della sua vita, ogni credente ha una memoria chiara e consapevole dei due o dei tre luoghi, o momenti, in cui l’azione dello Spirito di Dio ci ha dato la possibilità di avvertire la reale presenza della voce di Dio nella sua Parola. Così è avvenuto per me con il testo che chiude la narrazione del libro di Giosuè.

Prodotto letterariamente molto complesso, nonostante la sua apparente linearità

Prodotto letterariamente molto complesso, nonostante la sua apparente linearità, passato di mano in mano per arrivare alla versione che, oggi, è messa a nostra disposizione, esso rappresenta uno snodo, articolato da diversi approcci teologici ed esigenze storico-spirituali, il quale ci permette di cogliere l’esperienza di chi si trova a compiere delle scelte da cui dipende il futuro della propria vita e di quella dei propri cari, della propria comunità civile e religosa, in una fase storicamente incerta. In particolare, la narrazione, contenuta nell’ultimo capitolo del libro di Giosuè, sottolinea la necessità, il dovere, di compiere una scelta per il nostro futuro che tenga conto, da una parte, del nostro passato: nel caso specifico della lunga storia che Dio ha intrecciato con il suo popolo; dall’altra parte, di come questa «storia originaria» ci vincola attraverso un «patto», che Dio stesso ha voluto stabilire con il suo popolo, a cui abbiamo deciso di aderire quando abbiamo risposto alla «vocazione», che Dio stesso ci ha rivolto. Per quanto mi riguarda questa sequenza di identità (quella acquisita attraverso il «giocare» alle vicende dei valdesi, così come erano state recepite nella cultura popolare delle Valli), il radicamento in una comunità civile, ancora fondata su quel «Patto d’Unione» del Sibaud dopo il Glorioso Rimpatrio, l’annuncio dell’Evangelo di Gesù Cristo, ricevuto nella comunità religiosa che, alla prima, forniva il fondamento biblico, è assolutamente chiara e, penso, per quanto riguarda la realtà della Chiesa valdese alle Valli, ancora oggi insuperabile. Il problema è che l’articolazione di questa sequenza, di questa esperienza, per cui la fede in Gesù Cristo si acquista nel gioco dialettico tra un’identità storico-culturale molto forte, la quale può lasciare sullo sfondo il dato confessionale di un’appartenenza anche spirituale, e la dimensione di una vita comunitaria che, invece, si esplicita propriamente in una ricerca di fedeltà al Dio di Gesù Cristo, la quale può anche essere sottaciuta dalla prevalenza del valore identitario, deve essere non solo sollecitata, mantenuta in tensione, ostacolando la tentazione dei valdesi «identitari», i quali pensano che si può essere «valdesi» senza vivere la dimensione comunitaria, e dunque esplicitamente cristiana, della chiesa, e quella dei valdesi «credenti», ai quali le questioni di appartenenza identitaria al territorio delle nostre Valli appaiono, sinceramente, non interessanti e, in definitiva, non importanti.

Nel tempo presente i due «fronti» non sembrano interessati a confrontarsi!

Nel tempo presente i due «fronti» non sembrano interessati a confrontarsi! Probabilmente mancano gli spazi, i luoghi, le tematiche, gli interessi, non che li uniscano, ma che si possano individuare come terreni comuni, sui quali ritornare a parlarsi, a discutere, a indagare insieme per scoprire qualcosa di nuovo che riaccenda l’interesse reciproco, la curiosità verso l’«altro», i suoi percorsi e le sue esperienze. Se io penso alla realtà delle Valli, mi immagino che comunità civile e comunità di fede siano come i due polmoni che portano aria a quel corpo sociale languente di cui tutti e tutte siamo parte. Sento forte la necessità di un’uscita dal torpore fisico e mentale in cui questa lunga crisi ci ha portato: vorrei un rinnovamento dei cuori e delle menti, quindi l’affermarsi di una passione e di una serie di progettualità in grado di rivitalizzare una comunità a corto d’ossigeno. Se chiudo gli occhi, se mi metto in ascolto del mio respiro, se faccio silenzio delle voci che agitano la mia mente, se predispongo il mio cuore ad accogliere ciò che mi viene incontro (un po’ di tecniche new age, qualche pratica di meditazione d’impronta orientale, ma anche un po’ di mistici ebrei e cristiani), mi è abbastanza chiaro che la questione da cui siamo interrogati è quella relativa al senso e al significato che vogliamo dare alla nostra vita.

È Dio stesso che, attraverso la sua Parola, ci pone di fronte alla questione della qualità della nostra esistenza

È Dio stesso che, attraverso la sua Parola, ci pone di fronte alla questione della qualità della nostra esistenza, quella presente e quella immediatamente futura; quella nostra personale, ma anche quella della comunità di donne e di uomini di cui ci ha fatto prossimi. Questa Parola che, oggi, ci invita a scegliere tra la vita e la morte, non solo è decisiva, inevitabile, ma è proprio l’Evangelo che investe il nostro tempo. Dove è possibile un incontro tra «comunità civile» e «comunità credente» se non a partire dall’urgenza e dall’inemendabilità di questa richiesta? È possibile evitare la questione della fedeltà che Dio richiede per sé? Qual è il presupposto, o presumibile limite, tra la laicità delle istituzioni dello Stato, responsabili del buon governo della «cosa pubblica», e l’impegno politico e civile del credente, il quale inevitabilmente si fa portatore di un principio su cui fonda la propria esistenza: la giustizia di Dio? Per Giosuè, diciamo così, la sopravvivenza della comunità civile e di quella confessionale evidentemente coincidono; per noi, la distanza dell’una dall’altra è non solo acquisita, ma garantita da una rigorosa separazione, nella nostra cultura, da una quasi incomunicabilità.

Il problema è che non è possibile distinguere il nostro essere cittadino dal nostro essere credente:

Il problema è che non è possibile distinguere il nostro essere cittadino dal nostro essere credente: l’unicità della nostra persona ci obbliga a essere contemporaneamente l’uno e l’altro. Il tempo di crisi che stiamo vivendo ci obbliga a ripensare a questa nostra doppia appartenenza, a questa nostra identità che, nella sua ricchezza e varietà, ha il vantaggio di poter giocare su più livelli, mettendo in gioco la pluralità delle nostre passioni, delle nostre intelligenze, delle risorse di cui Dio ci ha dotato. In quanto credenti non possiamo trascurare il fatto che Dio agisce nella nostra quotidianità con le sue benedizioni, con la sua grazia e il suo amore. In quanto credenti siamo chiamati a vivere vocazionalmente la nostra esistenza cristiana al servizio della comunità civile in cui siamo chiamati a impegnarci per la possibilità di affermare un altro mondo. In quanto credenti poniamo ai non credenti una domanda sul senso che essi danno o vogliono dare alla propria esistenza.

(Ultima di una serie di quattro meditazioni)

(25 febbraio 2014)

Preghiera

Voglio essere fedele alla tua parola

Voglio essere fedele alla tua parola, Dio Padre, essa mi raggiunge come un appello, a cui rispondere non so, se non nel sostare nel suo ascolto, ubbidiente. Voglio essere pronto, Dio Gesù Cristo, a far mio il tuo Evangelo, perché fare io non so fare, se non quello che tu mi insegni. Voglio essere aperto, Dio Spirito, al tuo futuro, non incerto e lontano, quello che tutti immaginiamo, ma a quello che tu ci hai già dato, nella presenza tua nel nostro esserci, nel nostro esserci nella tua presenza.

Bibliografia

• G. von Rad, Deuteronomio, Brescia, 1979;

• Th. Römer, Dal Deuteronomio ai libri dei Re, Torino, 2007

• L. Zappella, Bibbia e storia, Torino, 2012

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