Il nuovo tempio

RIFORMA 30 LUGLIO 2004 – Articolo di Rosario Confessore
Cerimonia di inaugurazione alla chiesa valdese di Dipignano. Un edificio che testimonia una storia di discriminazioni.

Ricostruire il tempio, ricostruire la fede

Un luogo di culto donato nel 1995 alla Tavola valdese dal vescovo di Cosenza: un segno importante dopo le lunghe incomprensioni

 
«Ricostruire il tempio, ricostruire la fede». E’ questa forse l’idea che si é imposta all’attenzione di chi ha partecipato all’inaugurazione del nuovo tempio di Dipignano lo scorso maggio. Hanno partecipato a questa gioiosa occasione di comunione: credenti valdesi provenienti dalla Calabria, dalla Sicilia e dal Piemonte; quanti/e hanno svolto il loro ministerio pastorale in questa comunità; fedeli della Chiesa cattolica del luogo; don Francesco Nucci, rappresentante per l’ecumenismo del vescovo di Caserta; Salvatore Santoro, responsabile della Commissione Ecumenica della Regione; il Sindaco di Dipignano e rappresentanti del Comune di Guardia Piemontese. Tutti insieme hanno celebrato un culto comune presieduto dal moderatore della Tavola valdese, pastore Gianni Genre, in quella che fino a pochi anni fa era la chiesa cattolica di Sant’Ippolito, di stile romanico, risalente al XII secolo. E’ storia recente quella che nel 1995, ha visto l’allora vescovo di Cosenza-Bisignano, Dino Trabalzini, donare questo luogo di culto alla Tavola valdese come segno di comunione ecumenica. Nello stesso anno è stato avviato il progetto di ristrutturazione dell’immobile che presentava seri danni al tetto e alle strutture portanti. Il tempio valdese inaugurato a Dipignano è dunque un luogo ricostruito, che conserva in maniera chiara la propria identità originaria; la memoria di un’antica storia di aspri conflitti confessionali e di un recente processo di riconciliazione. Accanto agli elementi dell’architettura cattolica, come l’altare, le varie nicchie ai lati della chiesa, sono oggi presenti quelli caratteristici della nostra teologia e liturgia, come il pulpito con la Bibbia aperta, unica autorità nella chiesa; il sigillo valdese dipinto sulla vetrata che sovrasta l’altare; e sui pannelli lungo le pareti della navata, incassati nelle cornici a stucco che ospitavano presumibilmente tele di soggetto squisitamente controriformistico, oggi abbiamo le immagini bibliche di un candelabro acceso (Gesù luce del mondo), ed un enorme albero con radici profondamente radicate nella roccia che è Cristo. Questi accostamenti arditi rendono il Tempio di Dipignano un «tempio ecumenico» davvero speciale, che induce all’esercizio di una fede che sa distinguere, così come accogliere, la diversità del nuovo, mantenendo un rapporto intenso con la tradizione. Il presente non cancella il passato di quella che è stata la chiesa di Sant’Ippolito, ma fa da trait-d’union con una storia di uomini e donne che con le loro forti convinzioni si sono confrontati e scontrati, per essere fedeli al Vangelo, e che sono stati condotti «oltre le loro debolezze» secondo un disegno loro superiore. Per questo, come è stato detto dal Past. Paolo Ricca, ri-costruire è assai più bello che costruire, perché nel caso della comunità di Dipignano, ciò può avvenire non senza una presa di coscienza del senso di un passato che testimonia della potenza di Dio capace di ricostituire nel bene dell’Evangelo, una chiesa irrimediabilmente lacerata. L’inaugurazione ci appare dunque con chiarezza come atto significativo della speranza umana che si fonda sulla promessa di Dio: « … nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (I Cor. 3, 11-12). Noi edifichiamo sul fondamento di Cristo, già dato. In questo senso, ogni opera umana non è un costruire, ma un ri-costruire sul fondamento del dono della grazia di Dio. Per noi è stato significativo che ci sia stata offerta dal Signore l’occasione di rimettere in piedi per l’uso del culto un tempio cattolico. Esso è dono di un segno di comunione in quel Dio che soltanto può edificare e rinnovare per davvero la vita.

Il luogo dove sperimentare l’Evangelo

Proprio qui in Calabria, dove si sono verificati eccidi di valdesi ad opera delle autorità cattoliche, e dove nei più anziani della comunità di Dipignano è ancora viva la sofferenza per le passate discriminazioni religiose, c’è un luogo di culto singolare, forse unico in Italia. In questo paesello, così poco abituato alle novità, il tempio ri-costruito di Dipignano, diventa per noi protestanti allusione alla fraternità come luogo dove sperimentare l’efficacia dell’Evangelo che rinnova la vita; un semplice invito ad esistere alla presenza di Dio che ci apre la strada al futuro. Al di là di tutte le alchimie con le quali cerchiamo di fare argine alla crisi, il tempio di Dipignano, proprio con i suoi accostamenti di elementi vecchi e nuovi, ci fa consapevoli che Dio solo ha il potere di rinnovare ogni cosa. Per questo noi ci affidiamo alla sua parola antica, ma non per questo inattuale; ritorniamo con più concentrazione al tesoro dal quale trarre cose nuove e cose antiche (Mt.13, 52). Questo tesoro è stato trovato dagli uomini e dalle donne che sono all’origine della comunità evangelica di Dipignano, come Francesco ed Adelina Scornaienchi. La loro testimonianza di ubbidienza all’Evangelo è stata vissuta tra le pieghe della storia minima di una regione “decentrata” rispetto agli eventi dell’Italia del dopo guerra fino ad oggi. Ma dalla loro umile testimonianza è sorta una piccola comunità di credenti convinti, che rimane fattore di novità e diversità in una terra dove il tradizionalismo, soprattutto religioso, ha reso difficile il rinnovamento di strutture di pensiero e della vita. Francesco Scornaienchi (1869-1953), fino al 1902 era un fervente cattolico. Lavorando come capo minatore alla costruzione delle gallerie in Calabria, conobbe un tale evangelico di nome Nicola Mandarino, di origine abruzzese. Quando Francesco partì per il Brasile in cerca di lavoro, Nicola volle raggiungerlo nonostante le numerose lettere che l’amico e collega gli avesse scritto in cui cercava di dissuaderlo, perché la situazione lavorativa in Brasile non era delle migliori; il suo intento era quello di continuare a parlare all’amico dell’Evangelo. Così Francesco, dopo aver ascoltato un culto in una chiesa, si convertì. Tornato in Italia, la sua decisione all’inizio non fu accolta con entusiasmo dalla famiglia cattolica, ma Francesco spiegò ai suoi familiari i motivi che lo avevano portato ad intraprendere quella strada ed essi, in seguito, capirono e accettarono. Inizia così la predicazione «evangelica» a Dipignano: Francesco Scornaienchi teneva il culto in casa propria, nella camera da letto; giovedì e domenica culto pubblico e tutte le sere culto familiare. Circola ben vivo nella memoria dei più anziani della comunità, il racconto dei conflitti che l’«eresia» suscitava. L’opposizione del parroco fu senza mezzi termini, e il paese fece gruppo compatto contro la corruzione della falsa dottrina. Ma nonostante l’emarginazione, Francesco continuò la sua opera di evangelizzazione; anche quando dovette emigrare in Argentina, Canada, Stati Uniti, Africa. Soltanto nel 1946 venne mandato il primo pastore valdese ad occuparsi di Cosenza e Dipignano. Morto Francesco, fu la figlia più piccola, Adelina, a mandare avanti l’opera di suo padre. Comprò la stanza in cui il padre teneva i culti e continuò a predicare e a svolgere opera diaconale, fino alla morte avvenuta all’età di 91 anni il 17 febbraio 1999. Queste brevi note storiche, ci danno il senso di come a Dipignano la fede non sia stata mai adesione formale ad un credo religioso, né una forma di semplice socializzazione religiosa. Per coloro che ci hanno preceduto a Dipignano, essere valdesi ha significato incarnare la novità del messaggio di Gesù; ha voluto dire scoprire qualcosa di nuovo ed inatteso, cambiare vita, ricominciare da capo per essere dei cristiani. Oggi, l’inaugurazione del tempio di Dipignano ci riporta alla coscienza l’attualità di questi pensieri: il Signore vuole ri-costruire la nostra fede.

(Rosario Confessore)
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